mercoledì 10 ottobre 2012

Anupama Kundoo porta alla Biennale le radici, la terra e il lavoro delle mani

Sfogliando Casamica ho letto l'intervista a questa architetta indiana (a me prima sconosciuta), che mi ha incuriosito e appassionato. Sì, perchè questo mini-racconto di Monica Capuani sull'idea di architettura sostenibile e sul padiglione realizzato a Venezia di Anupama Kundoo è scritto molto bene, così bene che mi vedo 'costretta' a riportarvelo pari pari. Occhio che è lunghetto ma vale davvero la pena leggerlo.

"Anupama Kundoo, classe 1967 e un viso solare incorniciato da una nuvola di esuberanti capelli grigi, ha un piglio da politico in campagna elettorale più che da architetto. Fa dichiarazioni ad effetto e realizza, come lei stessa afferma, costruzioni naturali senza trucco. Anni fa ha scelto questo mestiere u po' per caso invece dell'adorata matematica e della scultura. Attualmente vive e lavora in Australia e di questa scelta racconta: «Mio marito ha ottenuto una cattedra a Brisbane ed è un bel posto dove crescere i figli. Prima sono stata a New York e a Berlino, città dove mi sono scontrata con il concetto di società iper-regolata. Sono cresciuta a Bombay, dove gli abitanti degli slum sono architetti eccezionali. Avete mai visto cosa sono capaci di fare con quello che riescono a procurarsi per strada? Rappresentano la forza della vita: sono loro i veri creativi della nostra epoca. Una volta la gente per costruirsi la casa usava le mani. Oggi, nelle società evolute, si è persa quella maestria e ci vogliono fior di professionisti e un grande dispendio di denaro tanto che spesso bisogna accendere un mutuo. Mi domando se davvero ne valga la pena».

E' decisamente provocatoria Anupama Kundoo. Al di là delle dichiarazioni iperboliche che potrebbero farla sembrare una passatista, è una donna che guarda in avanti, apprezzata nel campo dell'architettura per le sue sperimentazioni che recuperano materiali e tecniche dalla tradizione secolare mescolate alle possibilità più futuristiche della tecnologia e della scienza. Guardando il suo lavoro ventennale si potrebbe dire che le sue ricerche sui materiali abbiano addirittura precorso i tempi anticipando pratiche attuali. Ne è una testimonianza la scala che ha costruito 1:1 a Venezia alle Corderie dell'Arsenale. Riproduzione fedele della Wall House realizzata per sè nel 2000 ad Auronville in India, la costruzione è frutto del lavoro manuale di studenti delle facoltà di Architettura di Venezia e Brisbane, dove insegna, e maestranze che non erano mai uscite dal subcontinente asiatico. Insieme, per tre mesi, italiani, australiani e indiani hanno letteralmente tirato su l'impianto della casa che all'epoca ci vollero tre anni per completare. Il progetto diede alla Kundoo immediata visibilità. La Wall House fu lodata per l'innovazione ma soprattutto per l'efficace dinamica tra il low-tech di materiali sostenibili e lavorazioni tradizionali e l'high-tech della progettazione architettonica e delle conquiste dell'ingegneria. La Kundoo, diversamente da quanto si potrebbe credere, ne è sempre stata affascinata. La prova il video presentato a Venezia in cui, insieme ai casi di abitazioni costruite nei Paesi del Terzo Mondo, mostra la robotica utilizzata nei processi costruttivi degli architetti svizzeri Gramazio & Kolher che da tempo, con macchine automatiche, danno vita a edifici in mattoni contaminando la cultura digitale con quella materiale. Lei, del resto, l'innovazione l'ha sempre avuta nel DNA. Basta collegarsi alla voce research sul suo sito web per accorgersene. «La Wall House» racconta "fu un pretesto per sviluppare le  sperimentazioni che sarebbero state applicate alla progettazione di edifici sostenibili senza escludere le tecniche del passato. Si tratta di una specie di casa-manifesto. In India, un tempo, la migliore architettura teneva conto del clima locale, dei materiali che erano nei paraggi, delle lavorazioni testate dall'uso e dal tempo. Il boom economico ha fatto piazza pulita di queste tradizioni. Oggi, in tempi di crisi, è urgente tornare a un'architettura verde che rispetti l'ambiente, non sprechi risorse e contenga i costi. Un esempio concreto? Gli artigiani che vanno incontro alla povertà: perchè mai nessuno compra più i loro prodotti? Impieghiamoli noi architetti. Nella Wall House i tetti e le volte dei soffitti sono assemblati con vasi di terracotta usati come tegole e isolanti costruiti dai vasai della zona».

Il messaggio è chiaro. Se tutti gli eco-guerrieri fossero come Anupama Kundoo, le battaglie per le città più sostenibili sarebbero spesso vinte. L'armatura di questo architetto è l'entusiasmo incrollabile; le sue armi sono le radici, la terra, il lavoro delle mani con cui si costruiscono case dove la gente amerà e vivrà. Non manca, prima di salutarci, la sua critica personale a quello che considera l'establishment dell'architettura. La Kundoo vuole ricondurre la disciplina dal glamour delle archistar (che denuncia come follia eurocentrica) alla malta fangosa dei mattoni fatti con le mani dei muratori indiani. La sua preoccupazione principale -non smette di sottolinearlo- è la casa: una casa per tutti. Per questo motivo conclude con un tono di sfida:
«Perchè invece che progettare sempre ville per ricchi o grattacieli per le banche gli architetti non pensano al problema dell'insufficienza degli alloggi? Se tutti noi dedicassimo anche solo un dieci per cento del nostro lavoro a cercare soluzioni concrete, il problema in pochi anni sarebbe risolto».

Fine.
Che dire se non BRAVA.

Ora due parole anche sulla Wall House!
Realizzata nel 2000 ad Auronville come propria abitazione, è considerata il manifesto della sua idea di architettura sostenibile. La casa è un misto di tradizione e innovazione, sia dal punto di vista tecnologico  che spaziale: gli ambienti e i loro confini sono definiti in in modo nuovo, creando spazi intermedi e flessibili a seconda dell'ora del giorno o del clima. Un esempio di attività che si svolge in una zona di transizione è la sala da pranzo in cui il tavolo è costruito con un unico tronco di palissandro, legno quasi scomparso, senza l'uso di ulteriori materiali, neanche per le giunture. Gli alberi esterni alla casa sono integrati alla composizione dello spazio e creano un passaggio morbido con la natura, quasi da far sembrare che l'esterno penetri all'interno della casa.

Per altre informazioni vi rimando ai siti della biennale e quello suo ufficiale
http://biennalearchitettura.telecomitalia.com/protagonisti/anupama-kundoo/
http://www.anupamakundoo.com/





















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