domenica 30 dicembre 2012

A Ravenna ditta truffa e abbandona cantiere di autocostruzione

Mi arriva questa mail il 18 dicembre che decido di riportarvi testualmente:

"Pubblico un nuovo articolo sulla questione autocostruzione, questione irrisolta che coinvolge 14 famiglie nella sola provincia di Ravenna, questa volta cercando di mettere in luce il ruolo del Prof. Luciano Venturi, allora Vice-Presidente di Alisei ONG.
Il cantiere di Filetto è abbandonato e chiuso da luglio 2009, a causa del fallimento di ALISEI Autocostruzioni S.r.l..
A nulla sono valsi i tentativi degli autocostruttori, che il 26 giugno scorso hanno cominciato l'occupazione del cantiere che si è conclusa 94 giorni dopo.
Nonostante le difficili condizioni igieniche e di sicurezza, alcuni autocostruttori hanno dormito per 94 notti negli scheletri delle case, senza luce, acqua, gas e infissi, nel completo disinteresse delle istituzioni e dei media.
Fortunatamente durante gli ultimi giorni di lotta il loro appello è stato raccolto da un
bravissimo giornalista, Ruben Oliva, che ha pubblicato la sua inchiesta sul Corriere della Sera.
QUANTO TEMPO DOVRANNO ANCORA ASPETTARE QUESTE FAMIGLIE PER AVERE GIUSTIZIA ?
Un autocostruttore"

Bene, che è successo?
Matteo Mattioli, facente parte della cooperativa di autocostruttori di Filetto, ha deciso di autocostruirsi la propria abitazione e ha contattato l'impresa ONG Alisei, ma non tutto è andato come sperato; questa impresa, a detta di Matteo, è letteralmente scappata, lasciando il cantiere abbandonato a se stesso ed è da ben tre anni che i lavori sono fermi. Ora esso è stato occupato dalle persone della cooperativa Mani Unite che sarebbero dovute venire a vivere in questo complesso, in condizioni assolutamente precarie, senza elettricità e con solo qualche muro che li protegge o addirittura in tenda.

"Abbiamo fatto tanti sacrifici e alla fine non abbiamo ottenuto niente".

Insomma, quattordici famiglie sono state lasciate senza casa e Alisei ha inoltre creato un buco con banca Etica di 400.000 euro (senza contare i precedenti 600 mila euro elargiti) senza aver pagato i fornitori, dopodichè è sparita nel nulla dopo aver dichiarato bancarotta nel 2010.

Per capire la complessità della situazione ecco cosa ha scritto il giornalista del Corriere della Sera Ruben H. Oliva:

LA ONG E LA COINCIDENZA - Il tutto è accaduto e accade nel terzo settore, in cui una Ong, utilizzando il disperato bisogno della gente di avere una casa e delle falle del sistema, cambia a piacimento ragione sociale (da srl a cooperativa ) per poi dire tranquillamente in un' intervista telefonica che «Alisei ong non ha nessuna responsabilità né rapporti con Alisei srl e non ha mai trattato questo argomento in Italia».
Nessun indagato, nessun procedimento in corso, eppure una strana coincidenza balza agli occhi: il presidente di Alisei autocostruzioni srl, Ottavio Tozzo, è stato presidente fino a tre anni fa dell’Alisei ong, organizzazione che opera in Italia e nel mondo intero e che ora nega di avere avuto a che fare con le autocostruzioni in Italia.

UNA STORIA INTRICATA - Una macchia e una storia per il mondo delle organizzazioni non governative che corre di bocca in bocca tra le migliaia di volontari che ogni anno mettono a disposizione idee e lavoro in cerca di un mondo più solidale. Questa storia del cantiere di Filetto a Ravenna è una delle tante realtà che Alisei ha lasciato a metà. «Quello che stiamo tentando di cercare di capire è se tra l’Alisei Ong, con cui abbiamo trattato e Alisei srl siano esistiti trasferimenti di denaro». A parlare non è un magistrato ma il presidente di Banca Etica Ugo Biggeri che insieme alla cooperativa «mani unite» (i futuri abitanti delle case) e al comune di Ravenna, sono la parte lesa in questa intricata storia.

IL SISTEMA - Un sistema ben oliato quello usato da Ottavio Tozzo - bella presenza, belle idee e linguaggio forbito - per ottenere finanziamenti che finiranno ovunque tranne che nei cantieri. «Sono furibondo!» sono le prime parole che scandisce Fabrizio Matteucci, sindaco di Ravenna entrando con le telecamere nel suo ufficio. «Alisei doveva costruire ben tre nuclei di abitazioni; il primo lo ha finito, il secondo lo abbiamo dovuto finire noi con 200.000 euro della regione e il terzo, quello di Filetto, completamente abbandonato è davvero un disastro» dice il sindaco che si scalda aggiungendo di non escludere che il comune di Ravenna si costituisca parte civile in un eventuale causa contro l’Alisei.

Stessa sorte è toccata a molti altri cantieri disseminati tra nord e sud: in Lombardia i cantieri sono ben cinque e a finanziarli, e finirli dopo che l’Alisei si è data alla fuga, è toccato all’Aler. L’autocostruzione è uno dei sistemi più nobili per dare una casa a prezzi economici a quelli che non se la possono permettere. I finanziatori di Alisei vanno dalle Nazioni Unite alla Comunità europea, da imprese private a quelle pubbliche. Un fiume di soldi difficile da quantificare, specie quando le società continuano a cambiare o a fallire. 
LA MATASSA - Stefano Bentini e Matteo Mattioli - due dei 14 autocostruttori rimasti senza casa - non si sono rassegnati e da più di tre mesi vivono all’interno di quelle che dovevano essere le loro abitazioni. Senza luce, finestre, pavimenti continuano a tenere duro e nel frattempo mettersi in rete tra tutti coloro che in giro per l’Italia sono stati ingannati dalla Alisei srl di Ottavio Tozzo per iniziare una causa che permetterebbe alla guardia di Finanza di districare questa vera e propria matassa di società che in qualche punto portano dritto alla Alisei ong con sede a Milano.

ONG, s.r.l, la situazione è poco chiara. L'unica cosa certa è che questa amara realtà ha lasciato tante persone in seria difficoltà, senza casa e senza futuro. Se volete vedere il video inchiesta del corriere della sera ecco il link.













martedì 18 dicembre 2012

Autocostruzione per donne in Messico: ecco come nasce il progetto Adobe for Women

Citando il blog ufficiale  ecco spiegato brevemente di cosa si tratta:

"Adobe for Women é un’associazione senza fini di lucro, fondata nel 2011, il cui obiettivo é il recupero e l’insegnamento di tecniche di costruzione in terra; questo é il nostro contributo per un uso piú umano e sostenibile dello spazio e delle risorse del pianeta.
L’obiettivo di questo progetto é costruire 20 case sostenibili nella comunitá indigena di San Juan Mixtepec, situato al Sud dello stato di Oaxaca, in Messico. Queste case sono destinate a 20 donne in circostanze difficili che parteciperanno al processo di costruzione. In questo modo poco a poco faranno proprie le loro future dimore e ritroveranno l’autostima, la capacitá di lavorare e la speranza, che permetterá loro di trasformarle in spazi sicuri ed accoglienti per le loro famiglie.
Le costruzioni sono energicamente efficienti e costruite con materiali locali, come l’adobe, il legno ed il bambú. Ogni casa costa appena 3 831,84 euro (il prezzo di mezzo metro quadrato in cittá europee come Parigi o Amsterdam, un metro quadrato nelle capitali baltiche, o due metri quadrati in cittá europee piú economiche).
Queste 20 donne hanno lottato tutta la vita per i loro figli e per la loro dignitá. Con il nostro lavoro ed il tuo aiuto, continueranno a farlo – nelle loro case."


I fondatori sono:

Arq. Ana Morgado
Arq. João Caeiro
Arq. Lara Camilla Pinho
Arq. Maria do Carmo Sousa Macedo Caldeira
Arq. Maria da Paz Sequeira Braga
Arq. Fulvio Capurso
Arq. Juan Santibañez



MESSICO |  IL PRIMO PROGETTO
Dieci anni fa, grazie al progetto dell’Architetto Juan José Santibañez, sono state costruite 20 case per 20 donne, in questa stessa regione, e ció ha dato fiducia alle donne ed ha cambiato le norme di comportamento nel rapporto tra sessi opposti. Si é dimostrato che la donna possiede una grande forza quando le si dá un’opportunitá.
C’é da notare l’importanza che questo progetto comunitario presenta nella sua reale dimensione, non per la sua caratteristica quantitativa, ma per il suo aspetto concettuale che, con il giusto impulso, permette di essere replicato in gruppi di maggiori dimensioni.
“Credo che la storia di queste donne rappresenta una lezione di vita per tutti noi: con pochi aiuti, si possono realizzare grandi progetti.”


OBIETTIVI PER IL FUTURO

È nostra intenzione aumentare la visibilitá e la divulgazione del progetto, così come creare valori aggiunti per i soggetti o enti donatori.
A questo scopo prevediamo di realizzare, a partire dal momento in cui inizi il progetto:


Documentario: registrazione di immagini (filmato/foto) dell’evoluzione della costruzione; interviste, “diario di bordo” dell’equipe di progetto. 

Esposizione: mostra sul progetto, sia dal punto di vista architettonico sia da quello sociale, per mezzo di diversi supporti: foto in grande formato; proiezioni di filmati; campioni di materiali, modellini, disegni.

Crediamo che questo sarà il primo di molti progetti che potranno migliorare le condizioni di vita di persone in diverse parti del mondo. Sognamo che sia possibile, in futuro, implementare questo tipo di progetto in altri paesi, nei quali esistono identiche necessitá, ove siano necessarie case degne di essere chiamate tali.

Pretendiamo anche moltiplicare i nostri partners e contatti, in modo da essere in grado di dare maggiori e migliori soluzioni alle necessitá sociali con cui ci confrontiamo.

Ecco qui un'immagine delle vere protagoniste del progetto, le donne messicane e le loro storie:



IL PROGETTO

IL PROGETTO DI ARCHITETTURA

La casa, di pianta semplice e rettangolare, é costituita da due nuclei: un privato ed un pubblico.
Cadauno definito da 2 archi che si incrociano aumentando cosí la nozione di spazio e definendo le zone in cui svolgere le diverse attivitá domestiche. Ció permette di ottenere ampli spazi dalla pur ridotta superficie totale. Il portico si presenta come un prolungamento della casa, essendo direttamente collegato alla cucina. É costituito da una struttura in legno rivestita di canne disposte ad intervalli regolari in modo da render le pareti permeabili alla vista. Il portico si apre alla natura circostante, costituendo uno spazio privilegiato di convivenza.
La casa, di un solo piano, risalta per il colore delle porte, che potrá variare d’accordo con i suoi abitanti, in toni forti , come é caratteristico in Messico.
La varietá della struttura dei componenti presenti nei blocchi di adobe, le canne e i coppi contribuiscono a dare una certa ricchezza e armonia al complesso. 



Ci sarebbero ancora tantissime cose da dire ma l'obiettivo di questo articolo non è quello di spiegare nei minimi dettagli il progetto ma di farlo conoscere, perchè se siete interessati per ogni tipo di informazione (perfino come si fanno gli adobe!) vi rimando alla sezione 'progetto' del loro blog e vi assicuro che ne vale davvero la pena.

lunedì 17 dicembre 2012

La prima casa di paglia a Roma città!


Nel quartiere Quadraro è in corso da gennaio la costruzione della prima casa di paglia di Roma. La casa, progettata dal team di BAG Officinamobile diretto dall’architetto Paolo Robazza, è costituita dastruttura portante in legno lamellare e muri di tamponamento in balle di paglia. Gli autori si distinguono nell’approccio al progetto per due motivi. Il primo e più evidente è quello della scelta dei materiali utilizzati: l’intonaco scelto è un impasto di terra locale e coccio pesto e costituisce una reinterpretazione della tradizione dell’architettura vernacolare romana in chiave moderna. Il secondo, caratteristica a mio avviso più interessante, è la scelta di istituire uncantiere condiviso, ovvero un cantiere al quale giovani professionisti curiosi possono partecipare attivamente alla costruzione.

Il risultato che si sta delineando è un edificio estremamente traspirante e npagliaaturale e ad altissime prestazioni termiche, grazie all’utilizzo della paglia che rende gli ambienti freschi d'estate e caldi d'inverno, eliminando del tutto l’umidità superficiale. Tutto questo ovviamente incide notevolmente sui costi di riscaldamento invernale, per cui il risparmio potenziale ammonta fino al 75% rispetto ad una casa convenzionale. Ricordiamo che nel 2002 le normative sull’edilizia hanno ridotto il valore di trasmittanza termica K per i muri esterni delle abitazioni a 0,35 W/mqk, una balla di paglia non intonacata, grazie al suo spessore di 450 mm, ha un valore K di 0,13 W/mqk, cioè le sue caratteristiche termiche sono molto migliori di quelle richieste. E inoltre aggiungendo l’intonaco questo valore si riduce ulteriormente.










Dal punto di vista normativo l’Italia è stata divisa in zone climatiche dalla A alla G (con A zona più calda e G la più fredda) a seconda dei gradi giorno. Il coefficiente K varia da 0,85 W/mqk per le zone A a 0,44 W/mqk per le zone F, di conseguenza in ogni zona d’Italia tale valore è superiore ai 0,13 W/mqk garantiti dalle balle di paglia.

Lo stesso progettista, che ha lavorato al progetto EVA all'Aquila, ricorda inoltre un particolare affatto secondario che riguarda il reperimento dei materiali utilizzati nel suo progetto che sono a Km zero, ovvero provengono da produttori locali, abbattendo in un sol colpo impatto ambientale e costi di trasporto.

Aspetteremo il prossimo Luglio per vedere l’opera finita, oppure decideremo di aggiungerci alla fila di volontari disposti ad acquisire una tecnica antica eppure attualissima di costruzione naturale, economica e sostenibile. In ogni caso la favola dei tre porcellini che con un soffio del lupo cattivo vedevano volare via la loro casa di paglia era decisamente soltanto una favola!

Intanto date un'occhiata al video








giovedì 13 dicembre 2012

Nigeria: un progetto abitativo in bottiglie di plastica ricilate

Nel villaggio nigeriano di SABON YELVA vicino alla città di Kaduna, l’associazione non governativa DARE (Development Association for Renewable Energy), impegnata sul fronte dello sviluppo delle energie rinnovabili, ha messo in atto un progetto di costruzione innovativo, che impiega le bottiglie di plastica. Annoso problema ecologico, le bottiglie sono fra i rifiuti più numerosi e non solo nel paese africano.Fortunatamente si sono rivelate un materiale per costruire dai molti vantaggi. Si intravede la possibilità di risolvere il grave problema dell’inquinamento legato alle bottiglie lasciate nell’ambiente, che sappiamo non si degradano per migliaia di anni ed al contempo di rispondere alla necessità di abitazioni. I dati indicano infatti che la Nigeria produce giornalmente un quantitativo di rifiuti di circa 3 milioni di bottiglie di plastica e che il Paese necessita di circa 16 milioni di unità abitative. Ora fortunatamente ciò che è gettato da una persona può trasformarsi in materiale da costruzione per qualcun altro.L’idea di utilizzare bottiglie di plastica come materiale da costruzione è venuta anche al tedesco Andreas Froese, che, a capo della ditta Eco-tec, ha ideato più di cinquanta progetti in linea con l’ambiente in Sud America.

Ma vediamo da vicino il progetto e poi la realizzazione del prototipo che sta ultimando la DARE, in collaborazione con esperti londinesi dell’organizzazione Africa Community Trust.

La casa sarà presa a modello per l’addestramento di operai specializzati e per la costruzione di altre case. Il metodo consiste nel riempire le bottiglie di sabbia e tapparle, così arrivano a pesare 3 chili l’una. Vengono poi legate fra loro con delle corde e poi impilate a strati, mischiate a fango e paglia per rinforzare la struttura.
Una nota di colore è garantita dai tappi colorati sporgenti. Le bottiglie piene di sabbia risultano più stabili del calcestruzzo e resistenti a terremoti, incendi e persino colpi di proiettile. Il capo del progetto della DARE. Yahaya Ahmed, sostiene che la sabbia compattata all’interno di una bottiglia riesce a essere quasi 20 volte più forte dei mattoni.Inoltre la sabbia è anche un ottimo isolante termico, permettendo di mantenere una temperatura costante all’interno delle costruzioni intorno ai 18°, vantaggio piuttosto rilevante se si considera il clima estremamente caldo del paese.

Questo primo progetto abitativo prevede la realizzazione di due camere da letto, una cucina, un bagno, una toilette ed un patio per una superficie complessiva di 58m2 e l’impiego di 14.000 bottiglie di plastica.Un edificio costruito in questo modo si presta a una durata estremamente lunga (una bottiglia di plastica impiega in media 450 anni per decomporsi), inoltre la suarealizzazione risulta molto meno costosa rispetto a quella effettuata con i metodi tradizionali. Inoltre l’esperimento della prima casa di bottiglie vuole essere a impatto zero ed alimentarsi con l’energia prodotta da pannelli solari e biogas.Le normali case africane indubbiamente non avranno tali comfort tecnologici ma potranno usufruire del nuovo metodo costruttivo che permette di riciclare le dannose bottiglie in PET che si trovano gettate ovunque.Si sta comunque lavorando anche ad un nuovo progetto, che riguarderà l’ampliamento della scuola elementare diSuleja, nei pressi della capitale Abuja, che prevede l’impiego di circa 200.000 bottiglie.

Un piccolo contributo al pianeta per riciclare alcuni dei rifiuti più numerosi e dificili da smaltire!